Scriveva Beccaria: «Il più sicuro ma più difficile mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionale l’educazione, che tiene intrinsecamente alla natura del governo perché non sia sempre fino ai più remoti secoli della pubblica felicità un campo sterile, e solo coltivato qua e là da pochi saggi. Un grand’uomo, che illumina l’umanità che lo perseguita, ha fatto vedere in dettaglio quali siano le principali massime di educazione veramente utile agli uomini, cioè consistere meno in una sterile moltitudine di oggetti che nella scelta e precisione di essi, nel sostituire gli originali alle copie nei fenomeni sì morali che fisici che il caso o l’industria presenta ai novelli animi dei giovani, nello spingere alla virtù per la facile strada del sentimento, e nel deviarli dal male per la infallibile della necessità e dell’inconveniente, e non colla incerta del comando, che non ottiene che una simulata e momentanea ubbidienza».
Il buon senso, la scienza, l’esperienza e le statistiche imporrebbero alla ragione di combattere i delitti con la prevenzione e l’educazione e non con il diritto penale. In un periodo storico come quello attuale in cui l’odio e la rabbia albergano nei cuori dei più, si avrebbe la necessità di un legislatore che perseguisse le vie della ragione, dell’umanità, dei principi sovrani di fratellanza e uguaglianza per tutelare l’ordine sociale, non solo da pericoli esterni, ma soprattutto da sé stesso. Appare, invece, che la società attuale abbia paura di sé stessa, dei propri vicini, del diverso e a ciò non aiutano, né alla sicurezza, né alla giustizia, interventi legislativi labili e avventati nel diritto penale, il cui unico risultato è stato fomentare l’odio delle masse verso gli sventurati indagati e verso i Magistrati giudicanti (diversi dai pubblici ministeri che sono magistrati requirenti), colpevoli, spesso, di aver liberato gli “untori”. Leggendo commenti, post e opinioni sui social, la parola “untore”, e l’ovvio riferimento a quel mirabile esempio di maestria e intelligenza che è la Colonna Infame del Manzoni, è più che mai appropriata e moderna. Come già detto il diritto penale, in questa nuova epoca buia della ragione, sta tenendo ai colpi inferti dal populismo e dall’ignoranza e continua non solo a proteggere i singoli individui dalle masse, ma soprattutto la società da sé stessa, e ciò in mirabile silenzio e con la tenacia propria delle cose antiche. Gli esempi riportati nei capitoli precedenti dimostrano come i legislatori sono sempre volubili e soggetti a paure e debolezze nell’approcciarsi al diritto penale, con interventi fragili sotto l’aspetto sostanziale, in quanto non strutturati adeguatamente sul piano dei principi supremi e della giurisprudenza e così vulnerabili e indifesi alla realtà concreta dei tribunali e alla tenacia degli avvocati. Tuttavia, questi interventi comportano gravissimi danni sul piano umano, per coloro che ne vengono colpiti, ma ancor di più dal punto di vista economico, causando spesso pronunce di risarcimento danni e condanne da parte della Comunità Europea nell’ordine di milioni di euro all’anno. Il nostro sistema penale subisce già gli effetti di una separazione in casa fra il codice penale, risalente agli anni 30 e la Costituzione, la quale per struttura e principi si adegua con più facilità alle evoluzioni sociali e tecnologiche, mentre il codice per rigidità e filosofia è quasi incapace di evoluzione. Indi, viviamo già con un sistema penale in costante contrasto con i principi supremi, se anche il legislatore, alla ricerca di consensi o rincorrendo idealismi primitivi, ignora i principi supremi della scienza penale e dei diritti dei cittadini, le conseguenze risulteranno esser sempre più gravi e dannose, non solo per i singoli cittadini che chiamiamo delinquenti, ma per l’intero sistema. Inoltre, questo costante ignorare i diritti supremi sanciti dai trattati e dalla costituzione crea anche un danno alla percezione che la società ha della giustizia e del diritto, una lontananza che diviene sempre più difficile da colmare e che spinge la società verso la disgregazione. Dimentichiamo, inoltre, che noi tutti possiamo cadere nelle maglie del diritto penale, un incidente, un errore giudiziario, una cattiva amicizia, sono centinaia le circostanze che possono portarci all’attenzione delle norme penali ed è quindi un dovere comune e una esigenza comune il tutelare la scienza penale dalle umane passioni, un dovere a cui ancor di più dovrebbe esser ligio il legislatore. L’umanità ricercata nei secoli dai giuristi non attiene ad idealismi, ma ai diritti dei cittadini di non vedersi vittime dei soprusi di un legislatore violento o delle masse irrazionali, l’umanità sancita nei principi universali trattiene le società dal baratro della violenza e dell’arbitrio e difende la civiltà dalle aggressioni dei propri consociati.
Il diritto penale è una scienza, è razionalità, umanità e filosofia, non uno strumento di violenza e minaccia, non uno strumento da campagna elettorale. Nel legiferare, inoltre, bisogna riuscire a determinare chiaramente le fattispecie incriminanti, con descrizioni dettagliate degli elementi essenziali del delitto, ciò per arginare l’arbitrio dei pubblici ministeri e dei giudici. Il nostro ordinamento, prevedendo e comprendendo la fallibilità della magistratura requirente, vittima dell’umana natura incline all’errore e al pregiudizio, ha previsto diversi sistemi di sorveglianza. Vi sono infatti, giudici delle indagini preliminari, che si assicurano del buon operato dei pubblici ministeri, successivamente, vi sono i G.U.P. giudici dell’udienza preliminare, altro filtro contro i possibili, inevitabili, ricorrenti errori dei PM. La scienza penale da secoli cerca la chiarezza delle norme, la semplicità dell’interpretazione, la specificità degli elementi essenziali. Tuttavia, questa chiarezza è andata perdendosi negli anni, con i costanti aggiustamenti della giurisprudenza, le innovazioni dei legislatori, i decreti legge, un ginepraio di interventi che hanno reso il diritto penale sempre più oscuro e lontano dall’ideata e sperata chiarezza e limpidità. L’arbitrio della magistratura è un gravissimo problema di ogni democrazia, in quanto, proprio la magistratura è l’organo (potere, come originalmente denominato in Costituzione) più autonomo e indipendente, tutelato della nostra società per l’importanza suprema del lavoro svolto e per la sicurezza che assicura alle libertà dei consociati e ai diritti. Tuttavia, i pubblici ministeri e i giudici, sono umani e come uomini sono vittime di preconcetti, errori, tendenze politiche, e ciò provoca un evidente problema di giustizia e se a questo si aggiunge una normativa penale confusa e incerta, dal problema si passa alla tragedia. Anche per questo sempre più voci si sono mosse per chiedere una separazione delle carriere dei giudici, anche per migliorare l’accertamento degli errori e per evitare che colleghi giudicano altri colleghi. La stessa Costituzione lo prevede all’art. 111 della che così recita: «[…] Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata […]» La sezione fondamentale è la frase “in condizioni di parità, davanti a un Giudice terzo e imparziale.” Ad oggi abbiamo una situazione in cui gli Magistrati giudicanti e Magistrati requirenti appartengono allo stesso ordine. Potendo addirittura cambiare i propri indirizzi senza tante difficoltà. Come può una situazione simile garantire l’imparzialità del Magistrato giudicante se una delle parti del processo (il PM) è, fondamentalmente, un collega? Sembra quindi ad oggi che gli insegnamenti del passato, le varie teorie le lotte che hanno trascinato l’Italia fuori dal medioevo e verso l’unità prima e la democrazia poi, siano state completamente dimenticate in ragione di una visione distorta della realtà e della scienza penale, rivolta alla vendetta, all’arbitrio, ad una costante ricerca della punizione più severa, perdendo completamente di vista la parola più importante di ogni lotta contro la criminalità: prevenzione.
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